VINO & RISTORAZIONE IN ITALIA: IL BRAND DIVENTA SEMPRE PIU’ IMPORTANTE IN TEMPO DI CORONAVIRUS
Indagine Nomisma Wine Monitor per i Grandi Marchi
sulla ristorazione italiana: l’84% dei ristoratori ritiene importante –
in tempo di pandemia - il brand di produttori “storici” quale principale
criterio nella scelta dei fine wines da mettere in carta. Prima delle
ultime restrizioni, un terzo dei ristoratori intervistati vedeva un 2021
in netto recupero, con vendite di vino superiori al 2019.
Nella
scelta dei vini, in particolare quelli di alta qualità (fine wines), il
brand – in particolare delle aziende “storiche” che da più tempo
operano sul mercato – è rimasto in tempi di pandemia uno dei principali
criteri di scelta da parte dei ristoratori nella formulazione della
propria offerta in wine list (lo pensa l’84% degli intervistati), prima
ancora dei premi sulle guide (63%) o della denominazione nota/famosa
(52%).
E’ quanto emerge da una ricerca di Nomisma Wine Monitor per I
Grandi Marchi sul mercato nazionale e i cui risultati definitivi
saranno presentati – Covid permettendo – tra fine anno e inizio 2021.
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“Il brand gioca un ruolo importante per diverse ragioni,
in primo luogo perché è un indice di affidabilità, e in un momento di
così grande incertezza il cliente probabilmente ritiene opportuno
adottare un approccio più prudenziale al processo d’acquisto. – afferma il professor Piero Mastroberardino, presidente dell’Istituto Grandi Marchi –
Inoltre ai brand noti è spesso associato un più elevato tasso di
rotazione, che in una fase come questa è importante sia per la sua
capacità di restituire efficienza in linea generale alla gestione, sia
perché riduce il rischio di ritrovarsi un invenduto in cantina di un
ristorante nell’ipotesi malaugurata di improvvisi provvedimenti
restrittivi dell’operatività.”
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Lo studio, sulla scia degli approfondimenti realizzati negli
anni passati nell’ambito della collaborazione tra l’Istituto Grandi
Marchi e Nomisma Wine Monitor, quest’anno si è concentrato sulle
evoluzioni del mercato italiano ai tempi della pandemia, in particolare
sui consumi di vino fuori-casa attraverso una doppia indagine: sui
ristoranti e sugli Italiani che acquistano/consumano prevalentemente
vino al di fuori delle mura domestiche.
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Una prima anticipazione della ricerca relativa all’indagine
sui ristoranti (124 coinvolti fino alla scorsa settimana), ha messo in
luce come – prima dell’ultima stretta imposta dal Governo per arginare
la diffusione dei contagi – il coronavirus avesse “piegato ma non
spezzato” la ristorazione italiana, con circa un terzo degli
intervistati che addirittura prevedeva un forte recupero delle vendite
di vino, superiore ai valori del 2019, contro un 50% che comunque
stimava un analogo livello (e quindi solo un 17% che vedeva “nero”).
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Certo, la pandemia e il lockdown hanno comunque lasciato il
segno. Per rispondere alle restrizioni imposte di sicurezza sanitaria,
solamente il 23% dei ristoranti intervistati ha potuto riaprire prima
dell’estate mantenendo la medesima capacità operativa del pre-lockdown.
Tutti gli altri hanno dovuto rinunciare a coperti e posti a sedere (vale
a dire il rimanente 77% dei ristoranti intervistati, con il 12%
costretto a una riduzione del 50%) e anche dal punto di vista
organizzativo le modifiche sono state sostanziali, dagli investimenti
nella formazione sulle nuove norme igienico-sanitarie (55% degli
intervistati) al minor impiego di personale (40%) fino a cambiamenti
anche nei menu e nella wine list (20%). In questo caso specifico a farne
le spese sono stati soprattutto i vini stranieri proposti in carta (il
23% dei ristoranti ha ridotto o addirittura eliminato le etichette
estere proposte). Al contrario, i vini locali e/o dello stesso
territorio del ristorante, sono quelli ad aver subito “tagli” meno
drastici, con l’11% dei rispondenti che ha dichiarato di avere
addirittura aumentato il numero di tali referenze in carta.
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Nel complesso, e fino alla settimana scorsa, il saldo nelle
vendite di vino dei ristoranti intervistati evidenziava segno negativo
(inteso come differenza tra coloro che hanno dichiarato aumenti e quelli
che invece hanno subito diminuzioni nelle vendite), dovuto
principalmente alla riduzione della clientela (il 36% giustificava tale
calo con la già citata riduzione dei posti a sedere).
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Una variazione che ha inevitabilmente comportato impatti sui
produttori di vino: il 28% dei ristoratori ha dichiarato di aver
ridotto il numero dei fornitori abituali (contro un 61% di chi li ha
mantenuti costanti); e se nel 2019 il 68% dei ristoranti effettuava gli
acquisti di vino mediamente ogni settimana/mese, con la pandemia tale
frequenza è arrivata ad interessare un minor numero di titolari (il
55%).
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Infine, sui trend che si consolideranno nel settore nei
prossimi anni, si riscontrano molte analogie con quanto sta accadendo
nella società civile e nei principali settori economici. D’altronde, non
poteva essere altrimenti. “Tra i principali cambiamenti indotti dal
coronavirus, e che si manterranno anche nei prossimi anni, figura la
digitalizzazione, considerata soprattutto in ambito promozionale e
gestionale (dalla presenza sui social network alle modalità di
prenotazione on-line fino ai rapporti con i fornitori): lo dichiara un
ristoratore su quattro, accanto ad una gestione più efficiente degli
spazi”, evidenzia Denis Pantini, Responsabile Nomisma Wine Monitor.
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Ma più di tutte, questa pandemia dovrebbe lasciare negli
Italiani una maggior consapevolezza riguardo al valore che la
ristorazione esprime, sia in termini di qualità dei cibi e dei vini
offerti che dei risvolti socioeconomici che lo stesso settore produce
sull’intera filiera agroalimentare. Questo almeno era il convincimento
del 65% dei ristoratori intervistati, prima dell’ultimo DPCM che ha
introdotto ulteriori restrizioni nelle attività dei pubblici esercizi.
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Evidentemente a questo punto resta da capire come evolverà,
forse già nelle prossime ore, la situazione di un canale – quello
on-trade - che, va ricordato, incideva fino all’anno scorso per circa un
terzo sulle vendite a volume di vino nel nostro Paese.
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L’indagine è stata realizzata nel periodo 22 settembre –
23 ottobre 2020 e ha coinvolto 124 ristoranti italiani, localizzati per
il 31% nel Nord Est, per il 27% nel Nord Ovest, il 24% nel Centro e il
18% nel Sud del Paese. La media delle etichette presenti nella carta dei
vini del campione è pari a 420, il 77% degli intervistati propone un
menù degustazione e il prezzo medio di tale menù è di 65 euro. Il 94%
dei ristoranti intervistati è segnalato almeno in una delle principali
guide di settore. |
L’Istituto del Vino Italiano di Qualità Grandi Marchi,
attualmente presieduto da Piero Mastroberardino, comprende 19 tra le
più rappresentative aziende del Belpaese: Alois Lageder, Ambrogio e
Giovanni Folonari Tenute, Antinori, Argiolas, Col d’Orcia, Ca’ del
Bosco, Carpenè Malvolti, Donnafugata, Gaja, Jermann, Lungarotti, Masi,
Mastroberardino, Michele Chiarlo, Pio Cesare, Rivera, Tasca d’Almerita,
Tenuta San Guido, Umani Ronchi. Una compagine in grado di esprimere un
fatturato di 560milioni di euro e un valore delle vendite all’estero
pari al 6% dell’intero export enologico tricolore.
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